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anno 2011




Galleria di opere


La "rivelazione" nell' opera di Gian Paolo Lucato


Sergio Zanone



In filosofia la “Rivelazione” della Cosa coinvolge il problema gnoseologico, ovverosia analizza la possibilità e il limite del conoscere umano; le forme ed i modi del conoscere sono stati sin dall' origine della filosofia esaminati , sviscerati, psicologizzati , esaltati, annientati... sin dall' origine le forme del conoscere si sono distinte in due gruppi speculari: una tendenza è volta ad esaltare l' efficacia della conoscenza umana mentre al contrario l' altra tendenza tende a distruggere la possibilità del conoscere, a mistificarne il senso. Naturalmente nessuno possiede la verità assoluta: numerose sono le aporie e le contraddizioni presenti nei sistemi filosofici in entrambi i gruppi , ed a testimonianza di questo fatto ecco sorgere e svilupparsi le filosofie epistemiologiche, le quali hanno come oggetto lo studio dei limiti intrinseci alle prassi conoscitive umane; mi riferisco , per esempio , al “Falsificazionismo” di Popper, all' “Ermeneutica” di Gadamer e a tutte quelle filosofie del '900 che non solo devono continuamente porre in discussione i propri fondamenti, ma devono anche confrontarsi con le nuove scoperte logiche , matematiche , fisiche , astrofisiche , psicologiche , psicanalitiche, linguistiche etc. etc.della scienza moderna .


La domanda che sin dall' antichità l' umanità continua a porre a sé stessa riguarda il limite della conoscenza umana: fino a che punto l' uomo riesce ad andare “ oltre” nella comprensione della “realtà che vive” , ovverosia quali sono le relazioni tra Mondo e Pensiero , tra la “Cosa in sé” e la “Cosa del pensiero”? Kant ha posto un confine invalicabile alla conoscenza del Mondo : ciò che possiamo conoscere , dice Kant, non è la “Cosa in sé “( il noumeno, l' essenza dell' Ente) , ma solo il riflesso sensibile della sua apparenza : il fenomeno è ciò che l' intelletto conosce attraverso la percezione dei sensi. L' essenza delle cose rimarrà quindi sempre ineffabile , senza nome?

Eppure, sin dall' antichità l' uomo sa che ogni qualvolta scopre, svela qualcosa del mondo, in questo “qualcosa” c' è un nucleo di verità : quale meraviglia, quale stupore in questa rivelazione degli enti, nel manifestarsi delle cose , nel loro apparire ! Nel dinamismo di questa originaria, infantile rivelazione si rinnova l' immagine fenomenologica della cosa: essa qualifica l' Io come l' istanza soggiacente ( che “sta sotto”) e che, emozionandosi, patisce la presenza delle cose che lo circondano. Qui, nella fenomenologia, si apre il campo alle emozioni e ai sentimenti che giustificano l' esistenza dell' uomo ed arricchiscono l' arte.








Ma quali sono le caratteristiche costitutive dell' immagine fenomenologica, la “nuova cosa del pensiero” ? Cerchiamo di rispondere a questa domanda con le parole di Gaston Bachelard (1884 – 1962, matematico e filosofo , insegnante alla Sorbona nel decennio 1940 – 1954) tratte dalla “Poetica dello spazio” ( 1957)


La immagine poetica non è sottomessa ad alcun impulso , essa non è l' eco di un passato ma è piuttosto il contrario: attraverso una folgorante immagine, il passato lontano risuona di echi e non si riesce a cogliere fino a quale profondità tali echi si ripercuoteranno e si estenderanno ...l' immagine poetica aquisterà una sonorità di essenza. Il poeta parla stando ai limiti dell' essere... ma l' atto poetico, l' immagine improvvisa, la fiammata dell' essere nell' immaginazione sfuggono a inchieste di questo tipo ( analitiche, psicologiche, psicanalitiche)...l' immagine poetica emerge alla coscienza come prodotto diretto dal cuore, dall' anima, dell' essere dell' uomo colto nella sua attualità”


i primi due caratteri fondamentali dell' immagine poetica sono quindi la folgorazione e la risonanza : l' immagine poetica, in quanto immagine fenomenologica, emerge e risplende dal centro dell' essere dell' uomo, dal Sé, dal suo cuore, dalla sua anima. Eppure, qualcosa di simile alla folgorazione e alla risonanza lo abbiamo già trovato negli echi del passato : la folgorazione appare nella Settima lettera di Platone , scritta dal filosofo intorno al 353 a. C., e che rappresenta forse il vertice assoluto del suo pensiero. In questa lettera Platone , opponendosi al Tiranno siracusano Dionisio (che era stato per breve tempo suo allievo e si vantava di possedere la conoscenza del sapere platonico) afferma testualmante che la conoscenza perfetta dell' essenza dell' Ente, della cosa, non può essere “scritta” ma solo “vissuta”, ovverosia non può essere espressa in concetti e definizioni razionali ( la cosiddetta “scienza”) ma deve emergere e rivelarsi dal fondo dell' anima:


Però c' è una cosa che posso dire in relazione a tutti coloro che hanno scritto o scriveranno su questi problemi, affermando di conoscere quello di cui io mi occupo per averlo appreso da me o da altri o per proprio conto: essi non sono in grado di capire nulla di queste cose perchè su di esse non esiste né mai esisterà uno scritto mio. Questa non è una scienza che si possa insegnare come le altre: è qualcosa che nasce nell' anima improvvisamente dopo un lungo rapporto e una convivenza assidua con l' argomento (stare insieme intorno alla cosa stessa: peri to pragma auto), come luce schizzata da un fuoco, nasce nell' anima e ormai nutre se stessa.


Come avviene la conoscenza del mondo per Platone? Leggiamo ancora dalla Settima Lettera:


Vi sono tre elementi attraverso i quali si giunge a una conoscenza delle cose che sono – il quarto è la scienza stessa, il quinto è l' oggetto del conoscere in quanto realmente esistente (quinto si deve porre quello stesso che è conoscibile e che è veramente : trad Burnet). Il primo elemento è il nome (Onoma) , il secondo il discorso definitorio (Logos), il terzo l' immagine (Eidolon), il quarto la scienza(Nous). Se vuoi capire quello che sto dicendo , considera questo esempio ed estendilo a tutti gli altri casi. Esiste qualcosa che è detto cerchio e che porta quindi questo nome; c' è poi il discorso che lo riguarda e che è fatto di nomi e verbi...Terza è l' immagine che si disegna e si cancella, si costruisce con il compasso e si distrugge: tutte cose che si riferiscono al cerchio ma che il cerchio in sé non subisce perchè è altro da esse...

Quarta è la scienza , l' intelligenza e l' opinine vera che si ha di tutte queste cose (cioè di nome, discorso ed immagine): un tutto unico che non ha sede né nei suoni, né nelle figure dei corpi ma nelle anime, e quindi evidentemente è cosa diversa sia dalla natura del cerchio in sé che dagli altri tre elementi di cui ho parlato. La più vicina al quinto elemento, per affinità e somiglianza, è l' intelligenza, gli altri sono più lontani. Lo stesso vale per la figura dritta e rotonda, per i colori, per il bene , il bello e il giusto, per ogni corpo, sia esso artificiale o naturale, per il fuoco, l' acqua e simili, per ogni essere vivente, per le consuetudini proprie delle anime, per tutto ciò che si fa o che si subisce. Non si giunge a partecipare pienamente della conoscenza del quinto elemento se non si possiedono gli altri quattro. Inoltre, questi elementi tendono a spiegare tanto le qualità quanto l' essenza di ogni cosa con discorsi del tutto inadeguati; perciò nessuna persona assennata correrà il rischio di affidare i suoi pensieri a essi , soprattutto se si tratta di parole immobili, come sono appunto i caratteri della scrittura.”


In termini linguistici quindi:


1 : Il nome(Onoma) è il suono della voce che designa la cosa , il significante.

2: Il discorso (Logos) è la definizione, il concetto che si ha della cosa, il significato o referenza virtuale.

3: L' immagine (Eidolon) è la figura rappresentativa della cosa, il denotato o la referenza attuale

4: La scienza (Nous)è la conoscenza della cosa, ma è una conoscenza per così dire “imperfetta” , poiché si forma dall' acquisizione e dall' elaborazione intellettuale (intelligenza) di nome, discorso ed immagine; “imperfetta” poiché Onoma, Logos ed Eidolon sono elementi costitutivi instabili e di natura qualitativa, sottoposti alle variazioni contingenti e facilmente confutabili dalle sensazioni stesse : “non è l' anima di chi dice o scrive ad essere confutata, bensì la natura di ciascuno dei quattro elementi, che è costituita imperfettamente”. Platone distingue chiaramente tra l' Essere (on) e le qualità dell' Essere (poion).


Quanto ai nomi”, dice per esempio Platone, “non sono affatto stabili e quindi nulla impedisce di chiamare diritto ciò che è chiamato rotondo o rotondo ciò che è chiamato diritto – senza che per questo i nomi siano meno validi per chi li muta nel loro contrario”...E un discorso senza fine ci sarebbe da fare sull' oscurità dei quattro elementi , ma la cosa più importante è quella che ho detto poco fa: dei due principi, essenza e qualità, l' anima cerca di conoscere l' essenza, non la qualità.” (da “ Platone / I Classici del pensiero/ Lettere”, ed Mondadori, trad. di Maria Grazia Ciani)


Ecco quindi che il misterioso quinto elemento, che presuppone nella sua stessa genesi l' esperienza e la conoscenza dei primi quattro e tuttavia si costituisce come certo ed immutabile, è una conoscenza perfetta, la “quintessenza” , poiché risplende dell' essenza stessa della “Cosa in sé”. Giorgio Agamben nel suo saggio dal titolo “La cosa stessa” ( “To pragma auto”, dalla VII Lettera di Platone,Conferenza del 26 ottobre 1984, Forlì) chiama questo quinto elemento la “Cosa del pensiero”. Poiché nasce nell' anima ( come luce schizzata da un fuoco, nasce nell' anima e ormai nutre se stessa) , la “Cosa del pensiero” platonica sembra in un certo senso incarnare quelle prerogative fondamentali che Bachelard aveva individuato nell' immagine fenomenologica (la fiammata dell' essere ...l' immagine poetica emerge alla coscienza come prodotto diretto dal cuore, dall' anima, dell' essere dell' uomo ). Tuttavia è ermeneuticamente pericoloso sovrapporre la “Cosa del pensiero” di Platone all' “immagine fenomenologica” di Bachelard : oltre alla profonda somiglianza è doveroso anche segnalare le differenze che intercorrono tra queste due istanze; forse lo stesso Platone, se oggi fosse qui presente, avrebbe negato l' ipotesi che identifica l' artista con il filosofo. Platone, ai suoi tempi, non possedeva certo un' alta considerazione degli artisti in genere ( e soprattutto dei poeti) che considerava in fin dei conti poco più che abili mestieranti , come si evince dalla Repubblica: per Platone infatti l' arte è solamente mimesi (copia) della Natura ed ha una funzione esclusivamente sociale, serve cioè all' educazione dei cosiddetti Guardiani per garantire l' istituzione e la salvaguardia dello Stato Perfetto, di quella utopia di governo che, in fin dei conti, è quanto di più noioso si possa immaginare: una comoda prigione per la libertà. Ma forse, oggi, Filosofi ed Artisti sono assai più vicini se Bachelard , che è un filosofo, osa contraddire un' “etica filosofica” che finge di dimenticarsi di ciò che per sua natura è variabile (e rappresenta quindi la possibilità stessa della mutazione) oscurando l' attributo, la “qualità” (poion) dell' ente per focalizzare la propria attenzione esclusivamente sulla staticità ed immutabilità dell' Essere ( on) . Secondo quest' etica il Mondo si definisce sulla base di una dialettica della contraddizione soggetto-oggetto, io- non io: “troppo spesso il Mondo designato dal filosofo non è che un non-io. La sua enormità è un cumulo di negatività. Il filosofo si converte al positivo troppo in fretta e si attribuisce al Mondo, un Mondo unico.” Poter riacquisire il valore della “qualità” , dell' “attributo” nel dinamismo paradossale dell' oscillazione tra la polarità degli opposti ! : nel linguaggio dell' artista ciò che determina il valore dell' esistere, il colore dei sentimenti, il sapore delle emozioni e delle passioni , la vita delle cose, è l' aggettivo: ”Nel senso centrale del sostantivo si radunano aggettivi inattesi: un' atmosfera nuova permette alla parola di entrare non solo nei pensieri,ma anche nelle reveries...Se dessimo la parte che spetta all' immaginazione dei sistemi filosofici intorno all' universo, vedremmo apparire, in germe, un aggettivo. Potremmo dare questo consiglio: per trovare l' essenza di una filosofia del mondo, cercatene l' aggettivo” .Ciò che è importante, e che Giorgio Agamben evidenzia con raffinatezza nel suo saggio attraverso una corretta interpretazione etimologica delle parole di Platone, è che in Platone il cerchio della conoscenza si richiude sulla “Cosa in sè”, la quale rappresenta quindi l' inizio e la fine della conoscenza dell' Essere ; tale conoscenza si rende possibile esclusivamente attraverso il linguaggio di pertinenza del Filosofo. “La cosa stessa” dice Agamben “non è una semplice ipostasi del nome, un ineffabile che deve restare non detto e solo così custodito, come nome, nel linguaggio degli uomini...Questa – la cosa del linguaggio (logos) - non è un quid che possa essere cercato come una ipotesi estrema al di là di tutte le ipotesi, un ultimo e assoluto soggetto oltre tutti i soggetti, atrocemente o beatamente sprofondato nella sua oscurità ...La cosa stessa ha dunque nel linguaggio il suo luogo eminente , anche se il linguaggio non è senz' altro adeguato ad essa, per via – dice Platone – di ciò che vi è di debole in esso. Si potrebbe dire, con un apparente paradosso, che la cosa stessa è ciò che , pur trascendendo in qualche modo il linguaggio, è , tuttavia, possibile solo nel linguaggio e in virtù del linguaggio: la cosa del linguaggio, appunto”. Questa “debolezza” del linguaggio, che non lo rende idoneo a dire l' essere delle cose, è un fatto strutturale, costitutivo al linguaggio stesso: è la presupposizione e la scomposizione che il linguaggio attua in quanto pratica significante, presupponente ed oggettivante: “esso (il linguaggio) sup-pone e nasconde ciò che porta alla luce nell' atto stesso in cui lo porta alla luce”, dice Agamben parafrasando in un certo senso la “ difficoltà implicita nel carattere metafisico del nostro linguaggio che affatica in un ostinato rovello la scrittura dell ' ultimo Heidegger”, ovverosia è un parlare sopra l' ente (suppon- ente, appunto) , un “dire qualcosa su qualcosa” come affermò Platone. Possiamo comprendere a questo punto il senso implicito alla frase ”sono nozioni che non si possono dimenticare, una volta accolte nell' anima, e sono espresse inoltre in formulazioni brevissime”: per Platone è possibile parlare e scrivere dell' essenza delle cose solamente attraverso aforismi.





La conoscenza in Platone:






Consideriamo ora l' opera di Lucato , ed in particolare i Notturni a Romano n 1 e n 2:



Notturno a Romano 1

Notturno a Romano 2



Una immagine si apre nell'oscurità dell' anima, di forma circolare, proprio al centro, “come prodotto diretto dal cuore, dall' anima, dell' essere dell' uomo”, leggermente allungata , distesa dall' equilibrio della simmetria delle parole; oscurità del cielo notturno in cui appare Kronos (Saturno: il dio greco che libera tutti gli esseri rinchiusi da Urano nel grembo della madre Gaia , popolando la terra ); oscurità delle pareti di un pozzo in cui si riflette , sul pelo dell' acqua, il paesaggio che è al di sopra di noi , al di fuori di noi ; oscurità della pupilla di un bimbo in cui , al centro , si apre un nuovo paesaggio; oscurità che circonda il foro di una serratura , quella serratura in cui , da bambini ci divertivamo a posare l' occhio per vedere al di là. Immaginando , nella meraviglia, nello stupore , nuovi mondi , altri paesaggi : Trans-paesaggi, appunto.” è qualcosa che nasce nell' anima improvvisamente ... come luce schizzata da un fuoco, nasce nell' anima e ormai nutre se stessa.” L' immagine di una cima nella sua altitudine sovrastata dalle nuvole , nel silenzio, nella pace : “guardo la - tua pace”; l' immagine di un ruscello nel fruscio dello scorrere delle sue acque : “ombra – dentro”: ”sono nozioni che non si possono dimenticare, una volta accolte nell' anima, e sono espresse inoltre in formulazioni brevissime”.Il dinamismo dell' immagine poetica nel flusso del tempo- Kronos: le nuvole volano, le acque scorrono, la sfera cosmica ruota dilatandosi all' equatore . Si può “guardare” la pace? Può esservi, “dentro” al corpo , un ombra? Dice Bachelard:” Ogni sognatore solitario sa di sentire in modo diverso quando sta con gli occhi chiusi. Per riflettere, per ascoltare la voce interiore, per scrivere la frase centrale, condensata, che “svela” le profondità del pensiero...vedere e sentire, ultra-vedere e ultra-sentire, sentirsi vedere...la trascendenza di quanto si vede e la trascendenza di quanto si sente.” Parafrasando il Claudel del dialogo tra Violaine e Mara ne L' annonce faite à Marie! In cui “ si intreccia l' ontologia dell' invisibile e dell' inaudibile”:


Violaine (cielo). - io sento...

Mara. - Che cosa senti?

Violaine.- Le cose esistere con me.


Gianpaolo Lucato guarda:


Violaine. -Io guardo...

Mara.- Che cosa vedi?

Violaine.- Le cose esistere in me.


L' immagine fenomenologica affonda le sue radici nella profondità e rinnova l' origine della sua nascita, ma per far questo è necessario un senso raffinatissimo, capace di vedere l' invisibile ed udire l' inaudibile, come “quell' eremita.... che nella clessidra ascoltava improvvisamente la catastrofe del tempo”.



Notturno a Romano 3



Nel Notturno a Romano n 3 la moltiplicazione dell' Uno, appena accennata nei Notturni 1 e 2 dalla dilatazione della sfera e dalla ripartizione equatoriale delle parole, diventa più evidente : l' Uno, la sfera, riafferma la sua integrità riaquistando la forma perfetta , mentre le parole “perpetuo “ e “vago” si separano in realtà geometriche e definiscono così i propri nuovi limiti e confini ; questi “attributi” del tempo (perpetuo) e dello spazio (vago) , queste potenze generate dall' Uno, diventano sostanza e si solidificano in un atto che è proprio della dimensione del “nome” Tempo e del “nome” Spazio. “Attributi” che attraverso una genesi operata dal linguaggio diventano “nomi” : tuttavia , nel momento stesso in cui Tempo e Spazio si assolutizzano e si costituiscono come gli enti autonomi noi sperimentiamo attraverso i sensi , essi conservano e serbano in sè quel carattere di “impotenza” che è insito nella loro stessa origine e che costituisce la possibilità di realizzazione e di attuazione di tutte le cose ( in ciò noi possiamo scorgere la dottrina Aristotelica della” potenza e dell' atto” nell' interpretazione che ne da Agamben nel suo saggio ”La potenza del pensiero”, secondo cui la potenza è una hexis (facoltà) di una privazione , ovverosia è una possibilità di essere o di essere-non, di fare o di fare-non, di avere o di avere-non etc, concetto esprimibile nell' aforisma «ogni “potenza” è originariamente “impotenza”» ) : ed infatti cos' è il ”perpetuo” se non l' impotenza, la rarefazione assoluta del tempo che scorre , e cos' è il “vago” se non l' impotenza, la diluizione cosmica dello spazio tridimensionale ? Come se il linguaggio stesso nel tentativo di esprimere l' “essenza” delle cose, sperimentasse la propria impotenza:“Il linguaggio sup-pone e nasconde ciò che porta alla luce nell' atto stesso in cui lo porta alla luce” , ecco perchè vi è “ombra-dentro” , ecco perchè, quando nella fenomenologia di Gian Paolo Lucato originano il Tempo e lo Spazio , essi celano e serbano in sé stessi il “perpetuo” e il “vago”. Vi è, nella successione dei Notturni a Romano, una logica intrinseca che riflette il percorso storico del pensiero filosofico; anche la genesi della duplicità attraverso il processo di “emanazione” ha un preciso riscontro nella filosofia di Plotino; dobbiamo evidenziare come le due matrici Spazio-Temporali ingrandendosi sembrano, attraverso il conflitto delle rispettive masse esistenziali ( così in Eraclito opera il demone), comprimere l' Uno da entrambi i lati come se volessero dividerlo in senso orizzontale; tuttavia non emerge una finalistica “volontà” razionale nella sequenza fenomenologica di Gian Paolo, non è la testa, il “cerebrum”a dirigere Spazio e Tempo ma esclusivamente la pura danza con la sua dinamica bellezza e forza liberatrice (la bellezza della donna è , mitologicamente, la sua “gamba”: questo concetto lo ritroviamo espresso in modo alquanto singolare in Alfred Kallir, Psicogenesi dell' alfabeto : le “gambe” dell' Universo nella valenza simbolica fertile, femminile) . In Odalische il “perpetuo” e il “vago” sono i motori cosmici danzanti in un vortice a spirale antiorario , come le “spire” (ammalianti, avvolgenti) di una galassia che ruota sempre più velocemente all' indietro schiacciando l' Uno in una ellissi generativa che si colloca nel punto esatto dell' organo sessuale femminile, verdicante, denso di vita germinale. Un' altra opera di Lucato ha per titolo ”(Conflitti) Armare di potere la bellezza”; è un' opera verdicante e danzante che scaturisce proprio dal conflitto dialettico dello Spazio e del Tempo ( e in questa linea si collocano anche le altre opere danzanti che non a caso sono “conflittuali”: es (Conflitti)Liberare la forza della grazia, es (Conflitti)Espugnare la prigione dei preconcetti) . Si osservi come la sequenza proceda in modo sistematico, come il Tempo e lo Spazio ricongiungendosi nella comune origine del linguaggio diventino la frase generatrice di tutte le cose (Notturno a Parigi), la parola liberata dalla sua prigione che osa sperimentare nuove vie, nuove combinazioni sino all' esuberanza dialettica dell' ipersessualità femminile (Paesaggio dell' anima 5: si noti bene, dialettica e non retorica, poiché la dialettica ha già superato il conflitto mentre la retorica, come vedremo, in quanto prigione del pregiudizio , è il conflitto psichico, il monstrum da attraversare per raggiungere la meta) , all' irriducibile(?) separazione tra l' altezza e la profondità, tra l' intelletto e corpo, tra le città del cielo (Borea) e le atlantidi marine.






Paesaggio dell' anima 5







Successione proposta delle opere:


Successione delle frasi presenti nelle opere:


Odalische

...tra questa immensità s' annega...

(Conflitti)Espugnare la prigione dei preconcetti

Espugnare la prigione dei preconcetti

(Conflitti)Liberare la forza della grazia

Liberare la forza della grazia

(Conflitti) Armare di potere la bellezza

Armare di potere la bellezza

Notturno di Parigi

Più ancora del brillio di tutte le stelle sfavillano in noi come occhi infinite luci che la notte ci ha aperto nel cuore

Imago

...oh come viva in mezzo alle tenebre sorge la dolce imago...

Paesaggio dell' anima 4

(proliferazione di frasi)

Paesaggio dell' anima 3

(proliferazione di frasi)

Paesaggio dell'anima 5

Dialettica






In questo estetica del movimento “puro”, apparentemente privo di scopo , noi percepiamo il moto “perpetuo e vago”, il respiro degli atomi epicurei nella vastità senza limiti del vuoto cosmico; ma l' opera di Gian Paolo Lucato è un' opera complessa , inquieta , enigmatica , e lo afferma dall' inizio : “guardare la tua pace” ... non è “essere in pace” : contemplando la “pace” lo sguardo aspira alla “quiete metafisica”, “all' eterno riposo”, “all' estasi mistica”. Oseremo indagare questa ipotesi mistica attraverso l' analisi della “risonanza”. Il termine “risonanza” compare in un trattato di estetica di un erudito del primo o secondo secolo d.C., di cui non si conosce l' identità : Anonimo del Sublime. Il “sublime “ dell' Anonimo non è ancora quella categoria estetica della trascendenza che si affermerà nel Romanticismo e che allontana il limite della percezione verso la soglia dell' eterno e dell' infinito (ad esso appartengono tutte quelle sottoclassi del linguaggio che superano la soglia psicologica della percezione: vastità, immensità, eternità , vaghezza... e delle sottoclassi ad esse contrapposte: esiste anche un sublime dell' orrido, del minuscolo e così via); esso rappresenta semplicemente il vertice della parola poetica che sorge e si modella sopra un fondamento di natura etica : la grandezza e la profondità dell' anima umana. La seconda definizione di Sublime nel trattato è infatti la seguente:


  1. “ Il sublime è la risonanza con una grande anima”(par 9,2)

e un po' più avanti Anonimo dice:


2) “è logico che siano grandi i discorsi di coloro i cui pensieri sono profondi”.


Chiosa il traduttore( Giulio Guidorizzi): “grande anima: megalophrosynes apechema ...la grandezza è il riflesso di un' altra grandezza: ma di chi? La definizione, anch' essa “sublime”, suona per questo generica e forse volutamente, dato che si potrebbe pensare che abbracci , in modo diverso, tre aspetti del testo poetico : nella prospettiva del poeta , la sublimità è la risonanza della sua grandezza d' animo; in quella del pubblico, è il vibrare all' unisono con le parole del poeta di cui si percepisce la grandezza ; da quella della materia, la nobiltà degli argomenti trattati”. Ma è veramente tautologica la definizione dell' Anonimo? Innanzitutto possiamo evidenziare come siano poste in correlazione 2 estensioni contrapposte di una stessa entità psichica: l' altezza della “ grande anima” e la profondità dei suoi pensieri. Vi è inoltre il rischio , secondo Lucato, che una eccessiva ridondanza possa amplificare all' infinito la vibrazione psichica dell' anima recettiva, trasformando, attraverso un effetto climax, la pura dialettica in retorica roboante, moltiplicando insensatamente forme e parole ( la ripetitività dei patterns e della texture), alimentando di conseguenza quella prigione del pregiudizio che Maestro Eckhart definisce come uno dei peccati mortali dell' umanità:


Nos non debemus scire de quocunque propter quid vel de quare extra nos, nec deum, nec creaturam, nec propter nos ipsos nec propter aliquam rem extra nos, quia ad quodcunque movemur aliter quam ex nobis , hoc totum est actus mortalis peccati”


Tutto questo è un atto di peccato mortale ( ovvero suprema negazione della verità , del valore di Dio, specifica Marco Vannini nel saggio “Meister Eckart : la ragione e la Fede”, in Forme del Mistico, ed La Locusta, 1988), il rimandare ad altro, l' appoggiarsi ad un pretesto trascendente, senza vedere cosa esso significhi realmente per noi. Ecco quindi che la “ Dialettica” delle forme del paesaggio dell' Anima n 5 si contrappone alla retorica presente nei “(Conflitti) Espugnare la prigione dei preconcetti” , una prigione costruita attraverso la prolissità di un tema baroccheggiante. Che Gian Paolo Lucato reinterpreti con le sue opere la Storia del pensiero ed il Mito a partire dalla antichità dei Greci (Antike) , attraverso il mondo Romano , l' epoca Medievale, Rinascimentale, Barocca, Romantica sino alla contemporaneità, lo possiamo dedurre anche comparando le sue opere con le ricerche di Aby Warburg sulla “Sphaera Barbarica”; nel foglio 8 del saggio “Le forze del destino riflesse nel simbolismo all' antica / pensieri sulla funzione polare dell' antichità nella trasformazione energetica della personalità europea nell' epoca del rinascimento)”(aprile 1924 , in Carte d' artisti n114, ed Abscondita) troviamo espressa con estrema chiarezza l' idea di un universo concepito come danza attorno all' asse centrale ; cito testualmente:


  1. L' universo concepito come danza attorno all' asse centrale.

    Bisogna considerare se la danza dei dervisci a Konya, che consiste nella loro rotazione in uno stato maniacale attorno a un asse, non sia anche una danza astrale, in cui le stelle ruotano attorno all' asse dell' universo

lo stesso concetto è presente nel saggio “Filosofia della musica “ di Ernst Bloch , nel capitolo dedicato a Wagner :”Ancor oggi possiamo osservare in tutti i popoli primitivi un misterioso susseguirsi di contorsioni che forse non sono molto diverse dalle danze dei dervisci e da quella di Davide davanti all' arca dell' alleanza. Esse non sono soltanto fisicamente esaltanti come figure di caccia , bramosia, convulsione, ma sono determinate astrologicamente. Nei balli in tondo e nelle contorsioni del corpo i danzatori dervisci partecipano alla danza delle Uri e degli angeli, giungendo fino alla convulsione, al deliquio e all' estasi astrale. Le Uri sono infatti gli spiriti delle stelle che guidano i destini, e nello sforzo violento della sua contorsione rappresentativa il derviscio tenta di farsi conforme alle stelle, , di appropriarsi e strappare l' effluvio del primus agens a cui gli astri fanno corona contemplandone vicinissimi l' eterna gloria ( guardo – la tua pace)....anche Dionigi l' Aeropagita ha celebrato il movimento rotatorio dell' anima come il suo raccogliersi in sé, che è indubbiamente diverso dal cerchio degli spiriti astrali e dalla rotazione delle sfere celesti ed entra invece in rapporto con il ciclico raccogliersi dell' anima nel bello e nel buono del suo proprio fondamento”.


Per lo spirito del mondo antico , tuttavia, la distanza tra macro e microcosmo, o meglio tra i moti del Cosmo e i moti dell' anima ( caratteri, sentimenti, passioni) , non era così indubbiamente diversa come lo è per l' uomo cartesiano; afferma infatti Aby Warburg nella conferenza del 25 aprile 1925 dal titolo“L' effetto della sphaera barbarica sui tentativi di orientamento cosmici dell' occidente” ( foglio 11) : “Ciò che ci è più difficile avvertire nella religiosità pagana è lo stile del suo legame immaginario tra uomo e cosmo naturale. Ciò che noi chiamiamo magia è , nel senso della tarda antichità, solo cosmologia applicata, cioè una applicazione che infine sfocia in pratica manipolante del principio di identità tra soggetto e mondo; nell' indiano Questo tu sei (Tat twam asi) questa idea del microcosmo umano ha trovato la sua espressione più corrente...(12) Come immagine simbolica autorevole appare per secoli il cosiddetto uomo zodiacale.” Ernst Bloch stesso , sulla linea di Nietzsche, ribadisce che la novità dello spirito Wagneriano ( Bach, Weber e Beethoven ne rappresentano per certi aspetti i precursori) consiste nel recupero più autentico dello spirito immanentistico pagano: “ Ma l' unico fatto importante e decisivo è che Wagner si possa pur sempre definire come l' evocatore e il rinnovatore del Dionisio orgiastico che appare in forma tutta ideale quale azione drammatica, e grazie a ciò stabilisca anche un legame con le tendenze appassionate, tragiche e trascendenti della musica...questo ritmo infuocato si unisce realmente con il paganesimo incarnato in tempi antichissimi sia per comunicare il suo carattere dionisiaco sia per imporre alla musica ogni tipo di inebriante autoannientamento , dittatura del basso ventre, trascendenza fisiologicamente legata alla terra e alle stelle, dionisiaco-mitraica e astrale” . In campo filosofico la riconquista dell' autentico spirito pagano, deformato dalla pratica magico- astrologica tardo ellenistica e cristiano-medioevale con la degenerazione delle figurazioni mitologiche nei cosiddetti monstra, è già avvenuta a partire dal Rinascimento : (Aby Warburg, op. cit.) “L' antico (antike) che si impose , demonicamente deformato nell' astrologia, come oggetto di culto, offre allo storico della cultura l' opportunità di comprendere chiaramente la restaurazione dell' antichità classica come il risultato di un tentativo di liberazione della personalità moderna dall' incantesimo della pratica magio – ellenistica...” Nella conferenza del 25 aprile Warburg si propose di dimostrare, analizzando documenti e rappresentazioni varie (pittoriche, scultoree etc) , come tali figure demoniche , mostruose e degenerate , della magia ( che conservavano, per certi aspetti, alcuni caratteri originari ma travisati, mascherati, modificati: resi quindi irriconoscibili o difficilmente riconoscibili attraverso la comparazione diacronica delle figure) , riacquistassero progressivamente la forma originaria delle divinità (dei, semidei, eroi) presenti nello zodiaco classico dei Greci e dei Romani ( ecco ad esempio la sequenza delle figure zodiacali come la troviamo descritta nel Poema degli astri , Astronomica, del poeta latino Manilio: Pallade, Venere, Apollo, Mercurio, Giove con Cibele, Cerere, Vulcano, Marte, Diana Vesta e Nettuno) e dei decani dello zodiaco indiano: “Per monstra ad sphaeram! Dalla terribilità del monstrum ( incomprensibile e quindi pauroso nella sua natura magica ed irrazionale) alla contemplazione nella sfera ideale della meditazione paganamente dotta . E' questo il percorso nella evoluzione culturale del Rinascimento ,s u cui la serie di immagini di stasera intende far luce”, poiché “...l' aspetto seducente nella perdita acuta dello spazio del pensiero è che, in tal modo, attraverso la manipolazione dei valori illuministici della matematica ( si riferisce alla matematica greca ed in particolare alla geometria , con la trasformazione nel medioevo di uno dei 5 solidi geometrici Platonici i cosiddetti cinque corpi matematici regolari inventati nel Timeo da Platone come elementi originari del cosmo, il dodecaedro , in dado della sorte), viene in apparenza introdotto nella sfera superiore della profonda saggezza mondana il superstizioso, cioè colui che rinuncia al lavoro di pensiero proprio.” Ritorniamo ancora una volta, ma per un' altra via , alla prigione del pregiudizio che Maestro Eckhart aveva definito come uno dei peccati mortali dell' umanità. A proposito della prigione , è doveroso citare quanto Aby Warburg afferma dello spirito barocco nel già citato saggio del 1924 “Le forze del destino riflesse nel simbolismo all' antica”(foglio 5) : “Che cosa significa lo stile barocco per la tradizione dell' antico (antike) ? Qui le idee degenerano a causa della simbolizzazione barocca , peculiarmente sistematica. Il Barocco cerca di far coincidere la vita interiore intensificata con una dimensione esteriormente intensificata, e ottiene in tal modo tipi talmente saturi che impediscono l' accesso al vero dissidio spirituale, al problema.... ( foglio 10) Nello stile barocco si tratta di un equilibrio (compensazione) immaginario di dinamogrammi pulsionali ipersaturi. Per questa saturazione pulsionale la designazione estetica appropriata è “terribile””. L' uomo occidentale cercò quindi di riconquistare lo spirito originario ed immanente alla propria civiltà nella sua forma ancestrale più autentica , ovverosia purificandolo dai pregiudizi e dalla superstizione, soprattutto attraverso l' arte e la scienza; l' incontro con questo spirito , come Nietzsche evidenziò nella Nascita della tragedia, fece emergere i due aspetti dialettici ed antagonisti che lo caratterizzarono, intimamente legati l' uno all' Essere Parmenideo (L' Apollineo, l' aspetto illuministico o razional-contemplativo, il “sublime” dell' altezza ) l' altro al Divenire Eracliteo ( il Dionisiaco, l' aspetto orgiastico, passionale e sentimentale dei moti dell' animo e del divenire cosmico, il “terribile” del sotterraneo) . Nell' opera di Gian Paolo Lucato ritroviamo continuamente questa dialettica tra l' elemento Dionisiaco e quello Apollineo: come la Natura romantica si contrappone all' Architettura classicheggiante, così citazioni di ambienti acquatici, di foreste lussureggianti, di oscurità incombenti si contrappongono ad altezze cumuliformi, a pianure erbose, a lampi di luce ; e soprattutto ora riusciamo a comprendere la vera natura del dissidio spirituale, del problema nascosto dalla proliferazione fenomenica: ciò che è allo stesso tempo celato ed evidente in quanto limite evocativo dell' “immagine fenomenologica” è la natura unitaria all' Essere Parmenideo, l' Essenza “della contemplazione nella sfera ideale”. Non a caso Platone cercò di spiegare la teoria della conoscenza con la metafora del cerchio, e si osservi che etimologicamente il verbo cercare e la parola cerchio posseggono la medesima radice indoeuropea KER (GER, GHER) (= ghermire, afferrare, catturare) come se l' azione espressa si concludesse o meglio sublimasse nella parola stessa... l ' Essere è così concepito come una ricerca senza fine, come un girare infinito attorno al proprio Sé. I cerchi delle sphaerae di Manilio, di Prisciani, di Bianchini girano attorno ad un centro che, si noti, non è il sole : ciò che le sfere rappresentano non è quindi una topografia del Cosmo ( a quel tempo vigeva ancora la teoria Tolemaica o eliocentrica, e i pianeti con i rispettivi cieli avrebbero dovuto girare tutti attorno al Sole) bensì è una metafora di ciò che non può essere né detto nè raffigurato : la sovrapposizione ( il centro) tra Essere e Sé , l' uguaglianza tra ciò che abbraccia il Cosmo nella sua totalità (l' infinitamente grande) e ciò che sprofonda nel nostro cuore ( anche cuore ha radice KER!). L' imbarbarimento delle spherae corrisponde ad una degenerazione applicativa mondana di questa concezione filosofica e mistica: il “centro” diventa in modo banale il corpo fisico dell' uomo, soggetto agli influssi astrali dei pianeti, delle pietre , delle erbe , i quali a loro volta sono concepiti dal vulgus come organi fisici di un corpo cosmico universale immanente alle cose del mondo, un coacervo di organi e tessuti in corrispondenza reciproca secondo quella che Warburg definisce la loi de partecipation. Il cerchio di Platone, di Plotino, di Eckart ,di Spinoza, di Jasper (“Ogni essere sembra in sé rotondo”), di Lucato, è invece il simulacro, il cristallo dell' Essere in sé: noi lo percepiamo pieno ed isolato, ma in realtà esso occupa con la sua pienezza tutto lo spazio che lo circonda ; di questa “rotondità dell' Essere” tratta l' ultimo capitolo della Poetica dello spazio di Bachelard . Dice Bachelard: “... si vuol dire tutto l' essere nella sua rotondità. Non si tratta, in effetti, di contemplare , ma di vivere l' essere nella sua immediatezza...non è la percezione che può giustificare tali immagini...esse, poi, cancellano il mondo e non hanno passato, non provengono da alcuna esperienza anteriore. Si è certi che esse sono metapsicologiche e ci impartiscono una lezione di solitudine.” Bachelard fa un passo ulteriore: non si tratta solo di contemplare , dice, si tratta di vivere la rotondità dell' essere, “poiché la contemplazione si sdoppierebbe in essere contemplante ed essere contemplato”, mentre l' Essere è Uno e noi siamo l' Essere. Ebbene, anche in Warburg il cammino attraverso le sfere non è un percorso lineare ma un processo dialettico conflittuale, una lotta necessaria con le immagini o figure in cui il mostro si presenta; dice Davide Stimilli nella postfazione ad “ Per Monstra ad Sphaeram”:”...Warburg poteva solo pensare come un processo per antitesi, certamente non una progressione lineare... Ancora una volta si badi bene che la transizione dal monstrum all' idea non va intesa come uno sviluppo lineare, quanto piuttosto,- e questo è il monito implicito nel motto- come un passaggio necessario attraverso il mostro per giungere fino alla sfera; ovvero, in termini ancor più drastici, una lotta con il mostro... i monstra dell' immaginazione diventano le guide di vita decisive per il futuro”.

Le immagini fenomenologiche di Bachelard e di Lucato sono una esperienza vitale imprescindibile , l' espressione di una lotta interiore poichè assumono le sembianze paradossali insieme di monstra e di guide ; questa ambiguità è potenzialmente schizofrenica nel senso del conflitto edipico ( padre-padrone, insegnante-aguzzino)... la sequenza progressiva delle immagini di Lucato può essere concepita come un vero e proprio percorso terapeutico atto a rivelare il rimosso dell' inconscio individuale, o sociale , ovverosia il riflesso o paradigma psicoanalitico della contemporaneità. Una cosa simile accade per esempio nel Libro dei Morti tibetano, in cui un lungo capitolo è dedicato alla descrizione del viaggio dell' “anima”post-mortem lungo il difficile e pericoloso sentiero popolato di luci e di mostri : sono i Budda nell' aspetto terrificante e metaforico dell'attaccamento , del desiderio e delle passioni che ancora legano lo spirito alla vita trascorsa imprigionandolo al suo ciclico destino; è un viaggio drammatico dove è necessario non soccombere per non precipitare in una vita di natura inferiore o in uno degli inferni: punto di arrivo, o fine del gioco, è la perfetta illuminazione. Voglio istituire un parallelismo tra il rimosso dell' inconscio individuale e quello dell' inconscio sociale: il recupero dell' antichità può essere una terapia per la civiltà contemporanea, ma è necessario comprendere la storia nelle sue aporie e contraddizioni per poter guarire. Cito da Warburg : ”Ha quindi un significato decisivo, per la storia e psicologia dell' influsso dell' antichità (Antike) , la circostanza che la liberazione dal pregiudizio tardo-pagano ed ellenistico avvenga di nuovo attraverso l' aiuto dell' antichità stessa. Poiché all' impiego dell' ellisse Keplero giunse grazie all' opera di Apollonio sulle sezioni coniche , allora non ancora completamente riscoperta, e destinata ad andare completamente perduta , con l' eccezione di due libri, se non fosse stata recuperata nel XVII secolo, grazie alla mediazione araba dell' italiano Borelli.” E' questo un caso storico paradigmatico che ci permette di capire in quale modo la fisica moderna si sia liberata dall' influsso (nefasto) della metafisica: Keplero potè superare il “mostro” ereditato dalla tradizione e generato dalla fusione della fisica con la metafisica ( questo “mostro” infatti lo aveva indotto a scrivere il Mysterium Cosmographicum (1596) nell' alchemico tentativo di spiegare fisicamente la struttura del Cosmo , “raffigurato come immagine simbolica dell' armonia delle sfere, un sistema di solidi regolari inscatolati l' uno nell' altro”) liberando l' ellisse dal cerchio ovverosia sdoppiando il centro nei due fuochi dell' ellissi : “in effetti Keplero, nella sua corrispondenza con Fabricius, dovette vigorosamente sostenere la tesi che l' ellisse è in sé e per sé una idea matematica non subordinata in perfezione al cerchio...con l' ingresso dell' ellisse sulla scena si potè ora dischiudere l' infinità dell' universo in modo conforme a leggi fisiche, si andò in alto, avanti: per monstra ad sphaeram“.

Anche Gian Paolo Lucato svincola l' ellisse dal cerchio: lo schema classico del rosone perfetto estrapolato dallo stile romanico ( particolari estratti dalle facciate delle basiliche di San Miniato al Monte e di San Paolo Maggiore) e rinascimentale viene “compresso” o “stirato”, polarizzato, prima di “esplodere” nella proliferazione vitale:



















Nell' opera (Conflitti)Espugnare la prigione dei preconcetti l' Essere appare trasfigurato , trasformato in una prigione-cristallo (smeraldo) , in un contenitore vuoto e trasparente sulle cui pareti le cose ,inconsistenti, sembrano riflettersi come vacue immagini ; questo Essere esperibile nella sostanza (pienezza /vacuità ; luminosità/oscurità; altezza/profondità: gli attributi polari dell' Essere, la sua ellittica duplicità) ed inafferrabile nella forma è l' Essere originale e paradossale della mistica occidentale, l' Essere che l' anima non riesce a conoscere in quanto essenza (on), ma solamente contemplare , riflettere , percepire qualitativamente (poion).


Ritornando alla seconda definizione si deve evidenziare il fatto che Anonimo sa che il “sublime” non è “la risonanza” stessa , ma è “la risonanza con”; egli è consapevole che la parola , nel momento in cui definisce una cosa e la rende oggetto, vincola la cosa stessa e la rinchiude all' interno dei suoi limiti pragmatici: la parola che denota è la prima fonte del pregiudizio , ed in quanto fonte del pregiudizio è anche la prigione originaria della cosa . La liberazione della cosa necessita quindi di una lotta dentro alla parola stessa , ed infatti Gian Paolo pone il conflitto proprio all' interno: (Conflitti) . Il sublime per definizione non può essere delimitato e definito; due anime risuonano e si corrispondono e il “sublime” le sostiene con il palmo della sua mano. E' necessario espugnare, venire in aiuto alla parola con la parola poiché la definizione di “sublime” non risiede in ciò che le parole dicono di lui (il denotato dei singoli termini) ma in ciò che le parole non dicono di lui. Il sublime, cioè, rivela se stesso come il substrato che unisce queste due anime in risonanza attraverso la risonanza stessa: è la “sostanza” della loro unione ; forse è il silenzio, lo spazio silente in cui si propaga l' onda . Con la parola noi non possiamo dare la definizione di “sublime”, possiamo solo ricondurre la sua esistenza sul piano del sentimento e dell'emozione attraverso l' utilizzo di una immagine fenomenologica. Il sublime unisce nella totalità essenza ed esistenza delle singole anime attraverso la risonanza (nel cerchio dell' essere , l' ombelico della psyche : “quello che sembra fondamentale è, nel caso della “tecnica” di meditazione esicastica- da Hesychia: tranquillità,silenzio, pace - l' unione di una concentrazione psicofisica – quella per cui Barlaam di Seminara, che scatenò la famigerata polemica, poteva deridere gli esicasti come omphalopsychoi – con una breve formula di preghiera eminentemente cristocentrica...le definizioni impiegate non vogliono tanto determinare la natura di Dio quanto delimitare il campo oltre il quale lo sguardo non può spingersi...l' alveo della tradizione migliore della Chiesa che, quando definisce un dogma, non intende esaurire il mistero, ma chiarire piuttosto come le cose non sono...Lo spazio per la vera contemplazione inizia quando ciò che doveva essere detto è stato detto e dilaga nel silenzio.” ,Maurizio Paparozzi nel saggio “Gregorio Palamas e la mistica dell' esicasmo “, in Forme del Mistico 1988, ed La Locusta) : si noti come la parola risonanza sia composta dal prefisso re che unito alla iniziale s di suono sembra riecheggiare il suono della parola essere all' incontrario: rs vel sr, risonanza od eco sonoro dell' essere. Nelle immagini di Gian Paolo il sublime non è ciò che si vede, ma è ciò che non si vede : noi non riusciamo a vedere “la tua pace” con i nostri occhi poiché è trans, al di là, della superficie dell' opera , ma possiamo, come bambini, lasciarci “guardare” : tenere aperte le palpebre per lasciarla risuonare nuovamente in noi.




S.Z. 8/05/2011










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